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11 dicembre 2013

Quarantanove racconti

Sto leggendo I quarantanove racconti di Hemingway. Li ho presi in prestito in biblioteca, ha una sezione americana piuttosto ricca. Era una cosa che mi sembrava di dover fare da tempo, perchè questo nome si affacciava da più parti accendendosi ogni volta e lampeggiando come un neon di notte.
Ma non vorrei assumerli come una medicina. Piuttosto dispiegarli tra le pareti e sul soffitto, osservarli dal basso, distaccata e un pò stanca mentre lentamente il succo discende e si deposita. Più stretta nel laccio di un ricatto morale, all'ombra di un'etica sconvolta dalla ferocia dell'ordinario, quando privati dei simboli si resta nudi sotto la luce impietosa delle cose e dei fatti. Non sento alcun bisogno di collocarmi dentro il cerchio di un tempo specifico o di una coerenza di situazioni, abiti o gesti in cui fedelmente rispecchiarmi. Sono lì al centro di un caotico affaccendarsi racchiuso in traiettorie esatte, calcolabili da precise leggi. Sembra questo un nodo ricorrente. Per il resto fino a questo momento ho preso nota dello sforzo di mettere a fuoco i confini che separano il coraggio dalla viltà,
ciò che è da ciò che sembra, e come le cose che si dicono a volte suonino il contrario di ciò che si vuole dire.
A mucchi tra le pagine i colpi bassi della normalità contro la naturale prevedibilità della morte in ognuna delle sue varianti.

18 ottobre 2013

Tra sé e sé II

In che senso ho fatto mio il pensiero su volgarità e massa. Credo che la massa sia una somma di individui, che può nascere e crescere come entità specifica solo se ce ne dimentichiamo. La volgarità prende il sopravvento quando ci ostiniamo a pensare la nostra come l’unica vera solitudine, e quando fallisce la nostra capacità di accettazione del fatto che niente di ciò che fa parte della vita, reale o virtuale, possa colmarla. Quando ci affatichiamo nel difendere la nostra integrità e specificità di individui, e allora cerchiamo consolazione nell’ammassarci in tutti i modi possibili, omologando i gusti, con i mi piace, con cieca accondiscendenza. Schiacciando l’immaginazione nel ghetto della nostra vita fatta di orari e responsabilità come fosse un rifiuto.

Non ci rendiamo conto in quei momenti che il sentimentalismo a cui ci sottomettiamo è proprio ciò che ci allontana di più dalla vera compassione umana. Offuscati, ciechi come un feto, penosamente affamati del nulla da cui proveniamo, protesi verso un’incoscienza primordiale.

Non è uno scandalo. E’ una risposta semplice a un disperato bisogno umano. Non tutti sentono per istinto la necessità di lottare per preservare la propria specificità. Ma forse questa necessità dovrebbe essere suggerita almeno come presupposto per un processo evolutivo minimo della coscienza individuale, come dote necessaria per un’esistenza soddisfacente.

Per la verità siamo costantemente in bilico su questo filo, sospesi, tra il desiderio di emergere dall’acqua e il lasciarci annegare. Specie davanti alla bellezza, al dolore, all’amore. Non è misterioso quel bisogno feroce di sparire che sa coglierci in un momento di tragico abbandono? Non è mai chiaro se sia un bruciante desiderio di vita o di morte. E allora, per cancellare il tormento dell’incertezza facciamo dei figli. A volte è impossibile, e magari non basta. E allora scriviamo. E sbagliavamo se pensavamo di sciogliere qualche nodo. Altri dubbi, nuove contraddizioni e tormenti si affacciano.

Ma tanto, cos’altro abbiamo di così importante da fare?

17 ottobre 2013

Tra sé e sé

"Sconfiggere la volgarità planetaria è impossibile a priori, ma combattere senza pietà la nostra personale non si può definire nemmeno un atto di coraggio, ma di semplice igiene umana.
Non nutrirsi di spazzatura, non inghiottire avidamente tutto ciò che defluisce dalle vasche di decantazione di massa, ma mantenere una certa distanza tra sé e sé. Questo, dovremmo imparare a fare, anche se è più difficile che riuscire a fermare la pioggia. "


Daniele (Ero il piú stucchevole assaggiatore di libri)®

(su Lionel Asbo. Lo stato dell'Inghilterra, Amis Martin)

16 settembre 2013

Il Naufragio

Il vetro dei bicchieri che tintinna
il mormorio di sedie un ridere sommesso
testa che gira sulla spalla
il braccio ripiegato la mano abbandonata

un vuoto intriso di rumori
tra un istante e un altro
si infila in mezzo al ticchettio
succhiando siero alle parole
investimento a perdere

lembi di epidermide lucide cornee
lividi escrementi
spicchio fugace di eterno

tutto prelude al naufragio del suono
eppure ancora tace
tace e una ciocca vibra
tace, e gocciola la lingua sotto il labbro

i lampi sullo schermo - così avidi! - all'improvviso terminano
senza una ragione
senza spreco di fiato

il profilo scuro che prima c'era ecco
adesso è scomparso

25 luglio 2013

Rilke - Lettere a un giovane poeta





Circa due anni fa lungo una stradina ai piedi della funicolare di Montmartre ho raccolto una fotocopia sbiadita che invitava a una lettura pubblica delle elegie duinesi. Non sono andata all'incontro, ma da allora ho sempre portato il foglietto con me passandolo di agendina in libro. Sono passati molti mesi, finchè mi sono imbattuta in questo piccolo volume di Adelphi. Non ho ancora letto le elegie, ma di certo adesso so qualcosa sulla fiducia senza ombre che Rilke riponeva nella scrittura.
Nelle lettere a un giovane poeta soprattutto, Rilke dà prova di come i pensieri acuminati possono essere scritti senza acredine, e che se scritte con eleganza le idee più sfrontate sanno giungere dirette taglienti, e pacificanti.
Queste pagine viaggiano senza ostacoli beffandosi beatamente delle barriere del tempo. Vorrei essere il signor Kappus (e certo anche la giovane signora, benchè in questo caso si tratti di lettere molto diverse, meno letterarie), lo invidio per le profonde attenzioni che Rilke gli riserva. E invidio me stessa, perchè per fortunate piccole combinazioni ho idea di cosa sto leggendo.
Va bene che la letteratura non deve essere consolatoria. Ma per l'appunto, le lettere a un poeta colpiscono la mente senza durezza eppure spaccandola in due come una pesca acerba. E però sono anche una limpida pozza nel folto della foresta, dopo aver a lungo intuito l'odore dell'acqua.



22 luglio 2013

16 luglio 2013

Franny e Zooey (J.D.Salinger)

Franny Glass scivola in uno stato mistico-depressivo indotto dalla lettura di un certo libro. Emblematico il fatto, e anche il libro, La via di un pellegrino, che incarna un nodo mai sciolto da S.
Le dinamiche familiari registrano, a valle del duplice suicidio di due dei fratelli Glass, ex Bambini-Eccezionali come gli altri e come Franny stessa, i tentativi della madre Bessie e di uno dei sopravvissuti, Zooey, di suscitare una reazione in Franny, scuoterla dall'ossessivo automatismo linguistico in cui si è rifugiata per sfuggire all'incubo dell'ipercoscienza. Il rimedio di Bessie a base di reiterati inviti a sorbire brodo di pollo - nella speranza probabilmente di farla regredire alla serialità di una struttura mentale di base - fa da contrappeso al nutrimento scelto da Zooey, la sovrastruttura suprema delle parole. Il linguaggio in
effetti invade le pagine di questo libro come un'entità che si fa dilagante e multiforme al pari degli ego straripanti che trasmette. Essere come tutti gli altri - almeno nelle intenzioni -  solo in modo diverso, sembra la consapevolezza più bruciante che emerge da questi dialoghi-monologhi sulla nausea per sè stessi e  per l'umanità. In più di un passaggio è stato strano ritrovarsi a pensare alle circonvoluzioni Wallaciane, e probabilmente non c'è davvero niente di cui stupirsi. E' solo che non avevo mai letto Salinger, e comunque non lo avevo previsto. Dopo molte pagine dense di dubbi sulle differenze tra le varie tipologie di accumulo -  di ricchezze, di frivolezza, di cultura, di spiritualità - esposte nella più articolata serie di complessi atteggiamenti fisici e linguistici, non è facile assorbire le conclusioni cui giunge S. nel finale. Una virata violentemente ottimista, così intrisa dello spiritualismo più biecamente semplificante, da fare davvero impressione.


28 giugno 2013

Justify your love

He has a guitar
and no strings did exist before
He has hands
which feel like artistic moments
He has a voice
drawing the pain for time
He has mystic hair
flying wild in my thoughts
He has legs
a book touching one
He has lips
madly tightened in words
He has anger
I swig to stand
He has eyebrows
I drew in a cold day
He has a chest
dreaming a bed
He has a deepness
like a forest in a moonless night
He has a sway on art
ever shading my floor

11 giugno 2013

Minuto

Un grido in bianco e nero. Pelle d'argilla appesantisce i sogni, non sono certa che penetrino a dovere. Separatamente siamo la punta di un chiodo, insieme due buchi uno accanto all'altro.
Gratto la polvere sui libri, creo profili spezzati a incastro tra i discorsi inutili. Sono un disco rotto te ne accorgi? Eppure neurologicamente sana, così sembra.
In quanto madre indosserei un assillo vuoto, ma come mi vesto quando resto sola? Dove raccolgo le ceneri dei sorrisi? Tradiscono geometrie deboli, vivono tra ombre in traiettoria.

Mi stravacco sulla luna con un sorriso rauco, come una vecchia hippy.
C'è da morire di paura.

27 maggio 2013

Artistic moment


Stavo spixelando qua e là "La lentezza" di Kundera ascoltando questa versione di "What Will You Say". Leggevo soffermandomi su una frammento di frase tornando indietro e interrompendo spesso nei momenti in cui una svolta particolare della voce o un imprevisto nella musica mi costringeva a spezzare il pensiero, e riconsiderare il curioso vibrante universo che senza troppa intenzione avevo costruito intorno a me.
An artistic moment ho pensato. L'ho creato, finalmente, eccolo qui... e accidenti voglio che duri...






"(...) l’uomo curvo sulla sua motocicletta è tutto concentrato sull’attimo presente del suo volo; egli si aggrappa a un frammento di tempo scisso dal passato come dal futuro; si è sottratto alla continuità del tempo; è fuori del tempo - in altre parole, è in uno stato di estasi: in tale stato non sa niente né della sua età, né di sua moglie, né dei suoi figli, né dei suoi guai, e di conseguenza non ha paura, poiché l’origine della paura è nel futuro, e chi si è affrancato dal futuro non ha più nulla da temere."

"Time feels like it's flown away
The days just pass and fade away"

"Dove sono quegli eroi sfaccendati delle canzoni popolari, quei vagabondi che vanno a zonzo da un mulino all’altro e dormono sotto le stelle?"

"It's funny now
I just don't feel like a man..."

"Strano connubio: la fredda impersonalità della tecnica e il fuoco dell’estasi."

"My face..."

"In questo romanzo niente rimane un segreto esclusivo fra due esseri; tutti sembrano vivere all’interno di un’immensa conchiglia sonora in cui ogni parola, anche solo sussurrata, rimbomba, amplificata, in molteplici e interminabili echi. "

"Na na na na na na na na ... na na na na na na na na. na na na......."

"È questo il paradiso del piacere? O invece l’uomo, senza rendersene conto, vive da sempre in una conchiglia sonora? "

"Mother dear, the world's gone cold
No one cares about love anymore.."

"All’alba si separano"

"I can feel your time crawling
To a slow end"

"La vedo ora condurre il cavaliere attraverso il chiarore lunare."

"Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh........
"I can feel my time crawling
To a slow end... "

Intanto il brano è finito ma io ora non posso smettere, così trovo questo:




"Dar forma a una durata è l’esigenza della bellezza, ma è anche quella della memoria. Ciò che è informe è inafferrabile, non memorizzabile. "

"My heart can't take this anymore
What will you say
When you see my face?"

Realizzo improvvisamente che il segreto in questo caso è una inclassificabile qualità di musica/atteggiamento cerebro-musicale che riesce ad afferrare misteriosamente le redini della poesia. Il mistero si fa denso perchè non è nel testo a volte eccessivamente oscuro altre ordinario che il processo si realizza. Ma in una terra di mezzo tra una vibrazione e l'altra, tra un'esplosione vocale e un calo tonale macchiato dalle più sorprendenti imperfezioni. Non è meno di quattro o cinque volte in un solo pezzo dal vivo che mi sorprendo a pensare: "Ah! ecco una stonatura... Dio che splendore...".

Finchè non so come sono risalgono alla superficie della mente le metalliche spiegazioni di Hawking sulle stringhe vibranti.
Così per un momento mi sembra di averli nelle mani i fremiti di energia per deformare lo spazio-tempo in un numero infinito di universi possibili.

"It's funny now
I just don't feel like a man..."





Ore 15,23

20 maggio 2013

Alcunchè

In una notte dalle ombre sciolte fa la sua comparsa la liquefazione tremula al di sotto dello sterno. Il suono disperso fa il verso a un'interiorità non perfettamente contenuta all'interno dei propri confini. Qualcosa si appropria delle mie parole e le spappola. La nostalgia del futuro o del tempo mai accaduto è cosa dispendiosa e simula la tragedia, che si ferma un attimo prima di erompere. Un nodo di tensione che non implode, non ferisce. Probabilmente è votata a una lucida decomposizione.
Tipicamente la vita lotta non portando a termine alcunchè.


Le case bianche


Andrew Wyeth - Elsie's House


02 maggio 2013

Alzara project

Scribbled Wire Sculpture by David Oliveira
Ho una scrittura grezza e arrogante. Quando tento di costruire, limare e rifinire mi ritrovo imbrigliata in un linguaggio simbolico in terra fantasma che non riesco a normalizzare, e quando infine mi sforzo aggiusto e riaggiusto non sono certa di aver ottenuto quello che volevo. Rileggo e mi dico che quello che volevo era proprio il linguaggio simbolico. Forse la spiegazione va cercata nel motivo per cui mi piacciono la letteratura americana e Sean Penn*. Non perchè siano grezzi o arroganti - forse un pò anche per questo lo ammetto -,  ma perchè guardano il mondo da una prospettiva delusa; non dal tempo però, piuttosto per via di un'incapacità ad adattarsi che si esprime nel non volersi sgrossare. Come se l'eccesso di stile depotenziasse l'urlo che per chiunque è il vero movente del voler dire qualcosa. Sembrano ingenuità, percezioni adolescenziali, comunicazione di pancia. Forse è solo insofferenza. Sappiamo che non è così che funziona, la letteratura lo dimostra ampiamente con le sue storie scarne e potenti, i linguaggi purificati che scolpiscono le epoche. Eppure non basta. Non basta a me, e non basta ora e qui, in un universo come questo in cui le voci sono dappertutto provengono da ogni punto dello spazio e del tempo e si accavallano coprendo le voci con altre voci, e qualunque cosa si dica di certo la replicherà qualcuno tra un momento, e anzi è molto probabile che l'abbia già detta un altro. Così rimane solo l'urlo svuotato che si sgretola e inghiotte il tempo, e il tempo si scompone in tante piccole schegge perdendo la funzione di contenitore e di chiave di lettura di una coscienza in evoluzione. E' così che l'idea di Alzara è nata e -  molto molto lentamente -  sta procedendo. Le schegge si sparpagliano in tutte le direzioni sulle pagine e così sia.


*Più l'idea del regista e attore Sean Penn che non il vero regista e attore Sean Penn.

12 aprile 2013

Fare disfare scrivere studiare

Ho scelto questi due corsi, uno all'Università della Pennsylvania, uno all'Università di Austin, Texas.

Introduction to Art: Concepts & Techniques

About Ideas of the 20th Century    

Tutti i corsi sono gratuiti e in lingua inglese.
Alcuni rilasciano una certificazione delle competenze acquisite.


I corsi disponibili sono qui:

Coursera

edX

21 marzo 2013

Inutile, disutile, inane, inconcludente, infruttuoso, sterile, vano...

Coloro che prediligono attività vane lo fanno anche per chi è destinato a contestarli. Si potrebbe anzi pensare che la vera missione di chi frequenta l'astrazione sia quella di essere contestato. In questo senso non sono tanto dissimili il fervore religioso quello artistico e quello adolescenziale: tutti e tre questi stati psichici sono schiavi di un'intransigenza, e venerano la trascendenza e la trasfigurazione del quotidiano.

04 marzo 2013

Il quadrato bianco

Non è mai stato facile, e non lo è nemmeno ora. Un quadrato bianco cancella un volto, comunica alla clientela che Ziggy l'alieno non c'è più, almeno non così com'era. Nemmeno noi mentre assistiamo urlanti al suo e nostro divenire siamo più quelli, modificati, alcuni cresciuti all'ombra di un'elegante follia anche per mano sua. Abbiamo bisogno dell'uno e dell'altro, del giorno prima e di quello dopo. Di quanto eravamo non possiamo mica far finta che non sia mai stato. Ma l'avvertimento è d'obbligo, giusto se a qualcuno venisse la tentazione di cercarlo ancora in quel modo dentro questo disco. Cosa c'è all'interno quindi? Questo nuovo essere qui, non meno complesso, non meno intenso e spiazzante. E' ancora Bowie, non scherziamo, c'è eccome dietro la figura grigia che fa la spesa a New York con lo sguardo sprofondato nel volto sciolto, altrimenti non avrebbe scelto la copertina di Heroes trasfigurandola. Eroe in battaglia con il tempo. Ma cerchiamolo nel modo giusto, non dietro una patetica imitazione di se stesso. La nostalgia è una minaccia non meno orrenda della morte. Una certa parodia ci sta, la malinconia anche, perchè negarla, soprattutto quando pensi a Berlino, al chiasso infernale degli anni '70. Dove siamo adesso? Siamo qui, a dire la verità un pò stanchi,  abbiamo da fare. Vediamo le cose sbilenche, con un occhio diverso dall'altro, non c'è rimedio. Stiamo ancora tentando di adattarci alla vita sulla terra.
Mi sa che non siamo un gran che in questo, Mr Bowie.


>>Ziggy si sveglia a mezzanotte

17 gennaio 2013

Espressione

  
Una lettera d'amore, o l'espressione di un desiderio, assoluto, insincero, completamente falso, certo. Tale è l'ebbrezza - generata, respirata - da non potersi figurare a guardare fissi davanti sè o addirittura intorno come normalmente si fa. L'altezza, la vertigine, non sono che il sottinteso bruciante di una follia spaventosa che fa del vuoto l'estasi. E per questo si resta per tutto il tempo a guardare verso l'alto, senza alcuna preoccupazione di essere o non essere sè stessi.





"Il trucco? Eccessivo. Sfacciato. Gli occhi allungati fino ai capelli. Le unghie dipinte. C'è forse qualcuno di normale e ragionevole che cammini su un filo o si esprima in versi? E' davvero da pazzi. Uomo o donna? Mostro, decisamente. Anzichè sottolineare la singolarità di un simile esercizio, il trucco l'attenuerà: non stupisce infatti che un essere carico di ornamenti, dorato, dipinto, equivoco insomma, passeggi senza bilanciere là dove mai si avventurerebbero un piastrellista o un notaio.
    Imbellettato, dunque, e sontuosamente, fino a provocare, non appena comparirà, la nausea. Già alla tua prima piroetta sarà chiaro che quel mostro dalle palpebre violette poteva danzare solo lì. E' senz'altro questa sua particolarità, si diranno tutti, a portarlo su un filo, è quell'occhio allungato, sono le guance dipinte, le unghie dorate a costringerlo là dove noi - Dio ce ne scampi! - non ci avventureremo mai."

(Jean Genet, Il funambolo)