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06 ottobre 2014

Scheda N.2 - I ruoli

Figli, ma più nel senso di maternità come ruolo, come guscio che racchiude e che ti esclude dal mondo.
Rapporto con la maternità propria e altrui, incandescenza della propria percezione di capacità/incapacità/inadeguatezza nel senso di non possesso del diritto di insegnare alcunchè.
Separazione e divorzio, impossibilità di rinunciare al padre dei figli e di sottrarre loro la paternità.
Sensazione di poter scivolare in un territorio abitato da desolazione rituali e menzogne ancora più temibili dell'ipcocrisia matrimoniale e/o genitoriale.
Prospettiva dei figli randagi, privi di riferimenti per quanto fragili e soggetti a errore. Donne separate randagie.
Ciò che ti mostra debole è probabilmente la sensazione di non avere il diritto di violare una configurazione di base.
Ciò che ti fa sentire disarmato è la sensazione della menzogna nel trasmettere regole in cui non credi.
Timore/terrore/orrore di esercitare un controllo per il quale non ti senti autorizzato (regole che sai di non avere mai accettato).
Maternità e rapporto con la propria madre, assenza di una paternità o paternità flebile o autoritaria o persecutoria. Maternità eccessiva e maternità deviata, morbosa, psicotica o assente.
Paternità assente o in alternativa violenta.
Voglia di non controllo, delusione dei propri figli, coscienza matura delle debolezze dei propri genitori.
Aborto, desertificazione interiore, ossessione della maternità come desiderio autoimmune
Solitudine dell'essere procreatore
Percezione di sè stessi come DNA da riproduzione, sacchi di cellule funzionali alla vita in sé stessa.

29 luglio 2014

Quando si vive e basta


Genova mi atterrisce.
Spesso vado su Google Maps a guardare le strade di Sestri Ponente
cercando le tracce del vecchio aeroporto militare.
Wikipedia dice che è stato dismesso nel 1986 quando è stato inaugurato il nuovo Aeroporto Cristoforo Colombo. Mi sembra significativo - anche se probabilmente non lo è veramente - che la mia vecchia casa sia stata smantellata quando terminato il liceo facevo capolino nell'incertezza cronica dell'età adulta.
Qualcosa di questa città incomprensibile deve essermi rimasta dentro.
L'ultima volta circa dieci anni fa, lungo la sopraelevata verso il porto sono stata sopraffatta dall'incongruenza del paesaggio che mi strangolava tra il mare e il territorio inerpicato su per le colline, le facciate pastello sgretolate, l'ombra dei container su tutto. Ogni cosa è lì da tempo immemore eppure provvisoria. Deve essere l'effetto di tante partenze e ritorni.


Tutto questo non viene descritto in Un mucchio di giorni così,
però c'è. Ci sono tante cose che vengono descritte solo attraverso i fatti, che secondo me è il grande pregio di questo libro. Non una sola concessione a descrizioni o fraseggi, in poche parole alla "scrittura creativa". E' scritto in prima persona, un linguaggio asciutto e tagliente.

La struttura a salti temporali è interessante, anche se non so fino a che punto risponda a un progetto preciso dell'autore. Se il progetto c'era, non mi è stato subito chiaro e non mi andava troppo di approfondire per scoprire magari che si tratta di un espediente editoriale, il che avrebbe tolto qualcosa alla
bella lettura dell'ultima settimana. In effetti sarebbe l'unica ombra di questa storia ordinaria ma anche no dove per qualche giorno la mia stessa esistenza si è trovata contenuta, e per cui la mattina arrivando in ufficio mi fermavo alla sala caffè e non riuscivo a scendere e fare quello che dovevo fare senza prima leggere almeno un paio di pagine; e accendere quel dolore lieve e pungente dovuto al niente che ti fa sentire vivo e che si prova quando non si fa una cosa in particolare. Quando si vive e basta.

08 luglio 2014

Scheda N.1 - I luoghi

Portuense/Monteverde
I luoghi di una fattispecie di preparazione al niente, ma pieni di luce e gloria della gioventù.
La scoperta del mondo adulto come la fertilizzazione di un mondo di terra grassa e smossa. Aratura della vita, colonne bianche e capitelli in un seminterrato dove il desiderio per l'arte ha covato nel buio, senza riuscire a mostrarsi in gioventù.
Interiorità e tormento, incapacità e rifiuto di adattarsi a una qualsivoglia mimica o integrarsi in gruppo,
soppiantati poi da una frenesia inconsulta di essere parte del gruppo, essere dentro qualcosa e non fuori.
Mala sopportazione dell'esilio recuperato poi con maggior fuoco nell'età adulta.
Inconsapevole cocciuta persistenza nella propria campana di vetro.
Paura di perdersi come costante.
Solitudine profonda, coltivata, incessante, separazione e perdita del mondo. Conquista di una gaiezza durante la post-adolescenza e di un sottobosco di malinconia da lì in avanti.
Riaffiorare del tormento - per lo più poco cosciente - dopo i vent'anni in concomitanza di una profonda assenza da sé.
Elaborazione via via meno emotiva e più profonda --> artistica del tormento come materia incandescente, brodo primordiale a cui  attingere.

20 giugno 2014

Le onde

Guardiamo indietro e il cinismo ci ingoia.
Siamo davvero meno ingenui di quando portavamo i capelli lunghi?
Dovremmo calarci a fondo nelle forme di queste scarpe,
nelle linee dei palazzi e delle macchine, in questa difettosa modernità,
farne la culla del nostro senso di perdita. Camminare come bambini.
Perché perduti eravamo come ora, strappati alle fibre del tempo.
Nessun oggi ci appartiene e il domani non è ancora.
Siamo già un ricordo.

19 giugno 2014

Parodia

L'olio nella padella è denso.  Con il fuoco scioglie e prende a muoversi. 
Nel salotto risuona una musica melensa.  La tv trasmette parodie di attimi ordinari in cui nessuno ride.
L'uovo è quasi cotto. Sembra un occhio.

29 maggio 2014

Jeff Buckley




Analisi tecnica di "Grace"

(n.b.melisma)






Steve Hackett - la musica dei Genesis a Roma (22 maggio 2014)

Il progressive rock è fuori dal tempo. Ma non nel senso che avrei dato a questa espressione fino a giovedì scorso.

Si certo il progressive rock è una fase chiaramente circoscritta della storia musicale.
Ma tant'è, la stessa definizione di progressive e di rock non mi convincevano mentre vivevo incredula questo momento artistico.

Un susseguirsi di lunghe melodie, filastrocche, svolte improvvise, silenzi, mistero, il cantato e il parlato, tempi dispari, il dispiegarsi improvviso di suono puro verso le volte dell'Auditorium senza che fosse mai possibile rintracciare uno schema.
Un pò come quando le dita della mano destra di S.H. risalivano il manico della chitarra come se andassero a passeggio in un luogo che non aveva a che fare con la musica e con noi lì davanti.
Questo è il progressive, si dice.
Mi sembrava ancora più sorprendente quindi che nella penombra non ci fosse testa che non si muovesse a tempo, e che non sapesse esattamente cosa sarebbe accaduto un attimo dopo.




E' possibile che il successo di questa musica sia dovuto al porsi su un piano di pretenziosità, così sopra le righe da essere improbabile baluardo di un'unicità impossibile da ottenere diversamente?

O altrimenti come è stato possibile che una musica tanto concettuale, astratta perfino, che esibizioni in cui l'ironia spazza via gli stessi simboli di cui si serve, fossero così seguite negli anni '70 e che quella stessa
 musica svestite le maschere e rivisitata appena dalla sensibilità personale dei musicisti attuali riesca ancora oggi a richiamare folle di attempate anime "perse in questa terra di mezzo"?

Fuori dal tempo, questa musica parla ancora.
Siamo lontani dalla vita reale, dal mondo fuori.
Tanto lontani che queste lunghe sinfonie  progressive vibrano adesso come metafore dell'incomunicabilità delle paure e angosce più profonde, dell'inafferrabilità del tempo, dell'unicità del momento, del concetto stesso di arte che meglio interpreta ciò che più deforma, e che trasfigurando, incarna e svela.

(Anche per J.B.)

22 aprile 2014

Mentre morivo - William Faulkner

Ciò che trovi senza averlo cercato, che serra la voce e cancella ogni domanda prima che nasca l'idea di formularla.
Ciò che si pone non al di sopra della terra ma proprio là sotto le radici, nella sorgente segreta della letteratura, di cui nulla ci si chiede perché senza dar l'idea di averlo voluto, nel modo più difficile e scarno, percorrendo una traiettoria astratta come una zolla di terra, fiumi di sangue, linfa del mondo in decomposizione dagli albori del tempo, semplicemente è: prosa magnifica sorta dalle ceneri dell'Antologia di Spoon River di cui veste la coralità dispersa attraverso gli infiniti giochi di specchi nati dall'essere e dover essere o non poter essere: figli e padri e fratelli e sorelle e madri.
Ciò che attraversa il midollo della natura stessa dell'essere umani, il sonnolento incedere di esistenze risucchiate dalla follia e dal caso delle nascite e delle morti, e qualunque voce parli, sempre sempre questo affanno sotto i volti ingessati nel rispettare le atrocità di un orrendo copione in cui i contorni delle sagome di carta non corrisponderanno mai.

02 aprile 2014

Fly on a Windshield





There's something solid forming in the air,
And the wall of death is lowered in Times Square.
No-one seems to care,
They carry on as if nothing was there.

The wind is blowing harder now,
Blowing dust into my eyes.
The dust settles on my skin,
Making a crust I cannot move in
And I'm hovering like a fly, waiting for the windshield on the freeway.

Echoes of The Broadway Everglades
With their mythical madonnas still walking in their shades:
Lenny Bruce delcares a truce and plays his other hand
Marshall McLuhan, casual viewin', head buried in the sand.
Sirens on the rooftops wailing, but there's no ships sailing.
Groucho, with his movies trailing, stands alone with his punchline failing.

Ku Klux Klan serve hot soul foood and the band plays "in The Mood"
The cheerleader waves her cyanide wand,
There's a smell of peach blossom and bitter almond.
Caryl Chessman sniffs the air, and leads the parade
He knows, in a scent, you can bottle what you made!

There's Howard Hughes in blue suede shoes
Smiling at the Majorette, smoking Winston cigarettes
And as the song and dance begins, the children play at home
with needles...Needles and pins



21 febbraio 2014

La scopa del sistema

Sui miei appunti ho scritto: Lenore bisnonna è Wallace. Poi:  Lenore nipote è Wallace  Poi: Rick Vigorous è Wallace? E poi: Si.

Lenore bisnonna allieva di Wittgenstein è pronta a tutto per dimostrare il potere totalizzante delle parole. Usa le parole per influenzare, anzi plagiare senza remore Lenore nipote, al punto da "rovinarle la vita". Così pensa Rick Vigorous il quale racconta continuamente storie a Lenore nipote che non smette mai di chiederne a Rick. Anche perché crede senza condizioni agli insegnamenti della bisnonna. La quale bisnonna scompare ed è assente per tutta la durata del romanzo, costruito attorno alla voragine lasciata dalla volontaria defezione del vertice della piramide. L'autore non c'è. I personaggi vivono di vita propria, e se esistono è solo grazie alle parole. Ho segnato per più pagine appunti che tornano sempre su questo concetto di esistenza (di una persona di un fatto) garantita esclusivamente dal racconto che se ne fa.
Rick è follemen­te innamorato di Lenore. Ma se Lenore bisnonna è chiaramente Wallace, lo è anche Rick che racconta le storie, e lo è anche Lenore nipote che le legge. Anzi mi sembra che Lenore nipote sia più precisamente il rapporto di W. con la letteratura. Rick Vigorous non può vivere senza Lenore, che tra l'altro è un po' sentimentale riguardo a ciò che legge e si invaghisce di storie melodrammatiche e contorte. Eppure Rick preferisce che le storie le esamini e le scelga Lenore, evidentemente libera dalla contaminazione dovuta al "mestiere" di scrittore (o di editore). E Lenore lotta per non farsi incatenare da Rick. Ha questa convinzione incrollabile nel potere delle parole. E di certo, è proprio lei che più di ogni altro esiste per questo.
Se tutto questo (che è solo una piccolissima manciata di polvere sollevata dal mucchio di ciò che può essere pensato e detto e spazzato dalla scopa del sistema) è presente nel primo romanzo di DFW scritto a ventiquattro anni, non proverò mai più - avendo tra l'altro già fallito più e più volte  - a parlare di Infinite Jest, dove ogni microscopico dettaglio non è che la punta di un enorme iceberg, e dove ogni iceberg non è staccato dagli altri, ma connesso a tutti gli altri enormi iceberg di cui quel romanzo-cervello è fatto, a formare un'enorme rete neuronale di iceberg per cui toccandone uno accendi le connessioni verso un numero impressionante di altri possibili neuroni-iceberg interconnessi.

Dopo aver letto anche questo romanzo e ora che ho parlato di tutto questo è come se Wallace avesse parlato di me. E mi sembra un pò di esistere. Potrò continuare a farlo, anche se sarà necessario farlo in sua assenza.

Oggi è il compleanno di DFW e questo delirio doveva essere un augurio di buon compleanno.
La sua bellissima testa è esplosa, come esplodevano le teste nei suoi romanzi.

Un uomo di parola.



12 febbraio 2014

Margherita Vetrano su Granovisioni

Margherita Vetrano scrive recensioni di film In incognito.
In questo caso ha fatto un'eccezione con una bella recensione su Granovisioni, che con grande piacere pubblico qui.
Eccola.

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Granovisioni è un melting pot di idee, parole, poesia e prosa, fusi in un unico sguardo appassionato verso il dettaglio, la sensazione, l’emozione.
I capitoli sono ventotto, tutti diversi, ognuno col suo sapore, la sua visione a metà tra la realtà e la fantasia.
Elena Giacomelli scrive con gli occhi del cuore aprendo una finestra romantica, a volte più dura, sul mondo, ma lo fa sempre con una grazia ed un’eleganza che conquistano.
“La colpa” apre il libro ed è subito un pugno allo stomaco che costringe a tenere gli occhi aperti sulla narrazione. Il linguaggio è forbito, poco immediato e la comunicazione striscia oltre la linea di galleggiamento, ma il senso ci attanaglia e ci rapisce sprofondandoci in un universo parallelo, nelle granovisioni. A seguire “Millennio” dà il senso del perduto, un rimpianto appena sussurrato, della dolcezza del ricordo e del guardare indietro non solo per piangere ma anche per ricordare chi siamo. Regna una concretizzazione delle sensazioni che diventano liquidi appiccicosi, nettari divini o battito d’ali; l’idea diventa tangibile e rappresentata attraverso il tatto, l’odorato, paralleli impensati e impensabili che funzionano. Quando si prende il ritmo nella lettura, “Undici storie” spezza la cadenza con la sua cantilena di messaggi, sparati come fuochi d’artificio sul foglio bianco. Pietre miliari di cinica realtà. Ne “Il calcolo” c’è la comune esigenza di misurare tipica del mondo, di inscatolare pensieri e vissuto nel tentativo di controllare i fatti. Non è così ma ci appartiene ed è indispensabile.
Ed ecco che il passo cambia di nuovo fino all’ultimo sorprendente pezzo.
“Granovisioni” perché già dalle prime righe mantiene intatto il desiderio di terminare la lettura fino all’ultima pagina con la stessa intensità e con la certezza che in ogni suo più piccolo anfratto troveremo un po’ di noi. Il suo sospiro leggero di gioia o di angoscia è una brezza da cui lasciarsi accarezzare e strappare via le memorie più intime, per riscoprirle sotto forma di un nuovo linguaggio.
Da leggere.

Margherita Vetrano

19 gennaio 2014

Recensione di Strani giorni su Granovisioni



In tante occasioni dalla nascita di Strani giorni ho avuto modo di conoscere lo sguardo intenso e tagliente - esso stesso materia d'arte -   delle recensioni di Ettore Fobo.
Ma è un'esperienza del tutto diversa, che assume un significato profondo, se i propri scritti diventano l'oggetto di un'analisi così attenta e priva di sbavature.

Riporto solo alcuni brevi passaggi della sua bellissima recensione.


"Il tentativo è far presa sulla realtà, fotografare attimi dispersi nel fluire del tempo, come nella splendida poesia Undici storie dove ogni oggetto, ogni personaggio, ogni animale protagonista, con la sua sola presenza accennata, suggerisce una storia, ma non la esaurisce didascalicamente: è l’abbozzo di una linea che, inevitabilmente, tende all’infinito."

(...)

"E’ una poesia molto materica, materica fino a una strana evanescenza, come se il microscopio dei versi ci restituisse una realtà troppo nuda per essere vista, troppo scorticata per essere sanata. Troppa luce acceca, troppa invisibilità è in realtà un’epifania. Ciò che si agita dentro i versi costringe al silenzio, perché ”Qualcosa si appropria delle mie/  parole e le spappola”. "

(...)

"La poesia di Elena Giacomelli si situa in un’impasse, in una ferita ontologica. Che cosa abbia causato la ferita è un urto, con il reale, o meglio con la sua tragica assenza. Così sembra che queste poesie si situino in quello che Guy Debord chiamava ”Il cuore dell’irrealismo contemporaneo”. Non c’è una vera e propria deriva onirica (illusoria e perciò salvifica) in questi versi che colpiscono per la loro lucidità di specchi. Sono come placidi laghi in cui però la nostra immagine non si riflette, perché qualcosa ha decretato la nostra scomparsa. Così non c’è quasi traccia dell’autrice, (...)"


--> Strani giorni su Granovisioni


14 gennaio 2014

I fiori vengono in dono e poi si dilatano - Amelia Rosselli

"I fiori vengono in dono e poi si dilatano
una sorveglianza acuta li silenzia
non stancarsi mai dei doni.

Il mondo è un dente strappato
non chiedetemi perché
io oggi abbia tanti anni
la pioggia è sterile.

Puntando ai semi distrutti
eri l'unione appassita che cercavo
rubare il cuore d'un altro per poi servirsene.

La speranza è un danno forse definitivo
le monete risuonano crude nel marmo
della mano.

Convincevo il mostro ad appartarsi
nelle stanze pulite d'un albergo immaginario
v'erano nei boschi piccole vipere imbalsamate.

Mi truccai a prete della poesia
ma ero morta alla vita
le viscere che si perdono
in un tafferuglio
ne muori spazzato via dalla scienza.

Il mondo è sottile e piano:
pochi elefanti vi girano, ottusi."


--> So what difference does it make?

02 gennaio 2014

Dietro lo specchio

Prendiamoci il nostro ridicolo tempo
per studiare, decidere

tutto ciò che chiediamo ci cancella le labbra
non sappiamo leggere la bussola
non sappiamo privarcene
la fiamma dei candelabri ci arrossa le guance

Scendiamo dal letto degli sguardi beffardi
afferriamo i capelli sudati con le dita stanche
come potremo guardarci se non stilliamo sangue

Siamo nidi di uccelli a caccia di navi


(da Granovisioni)