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29 luglio 2014

Quando si vive e basta


Genova mi atterrisce.
Spesso vado su Google Maps a guardare le strade di Sestri Ponente
cercando le tracce del vecchio aeroporto militare.
Wikipedia dice che è stato dismesso nel 1986 quando è stato inaugurato il nuovo Aeroporto Cristoforo Colombo. Mi sembra significativo - anche se probabilmente non lo è veramente - che la mia vecchia casa sia stata smantellata quando terminato il liceo facevo capolino nell'incertezza cronica dell'età adulta.
Qualcosa di questa città incomprensibile deve essermi rimasta dentro.
L'ultima volta circa dieci anni fa, lungo la sopraelevata verso il porto sono stata sopraffatta dall'incongruenza del paesaggio che mi strangolava tra il mare e il territorio inerpicato su per le colline, le facciate pastello sgretolate, l'ombra dei container su tutto. Ogni cosa è lì da tempo immemore eppure provvisoria. Deve essere l'effetto di tante partenze e ritorni.


Tutto questo non viene descritto in Un mucchio di giorni così,
però c'è. Ci sono tante cose che vengono descritte solo attraverso i fatti, che secondo me è il grande pregio di questo libro. Non una sola concessione a descrizioni o fraseggi, in poche parole alla "scrittura creativa". E' scritto in prima persona, un linguaggio asciutto e tagliente.

La struttura a salti temporali è interessante, anche se non so fino a che punto risponda a un progetto preciso dell'autore. Se il progetto c'era, non mi è stato subito chiaro e non mi andava troppo di approfondire per scoprire magari che si tratta di un espediente editoriale, il che avrebbe tolto qualcosa alla
bella lettura dell'ultima settimana. In effetti sarebbe l'unica ombra di questa storia ordinaria ma anche no dove per qualche giorno la mia stessa esistenza si è trovata contenuta, e per cui la mattina arrivando in ufficio mi fermavo alla sala caffè e non riuscivo a scendere e fare quello che dovevo fare senza prima leggere almeno un paio di pagine; e accendere quel dolore lieve e pungente dovuto al niente che ti fa sentire vivo e che si prova quando non si fa una cosa in particolare. Quando si vive e basta.

6 commenti:

  1. Ma che bello, sostare nella sala caffé e basta.

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    1. Si anche se sembro una cospiratrice, il terrore di incontrare qualcuno che ti dice cosa fai leggi? cosa leggi? di che parla? ecc.ecc....

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  2. grazie. emozione. (la struttura era la prima cosa a cui ho pensato).

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    1. E' bello saperlo. Complimenti davvero, anche per la struttura allora :)

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  3. La prima volta che vidi Genova fu in occasione di una mostra dedicata principalmente a Rimbaud. In questa mostra tra l’altro c’era quel quadro bellissimo di Bacon con il papa urlante. Vidi anche la borsa da viaggio del poeta francese. La città mi parve inquietante e misteriosa, forse anche per effetto della mostra. Ho il ricordo soprattutto di alcuni vicoli di malaffare, desolanti. In qualche modo quel giorno stabilii un contatto con la città, che rimane nella mia memoria così come la vidi quel giorno. Altre volte l’ho vista ma non ricordo bene.

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    1. Oggi penso che la strana attrazione che esercitano su di me i paesaggi urbani in degrado, tangenziali, zone industriali, il disordine architettonico di certe zone romane, provenga anche dai paesaggi che popolavano il mio orizzonte genovese durante l'infanzia. Genova ha una concretezza che lascia il segno. Ricordo un vento forte al punto da impedirmi di respirare, cercavo di non boccheggiare aggrappata alla mano di mia madre. L'odore del kerosene e delle mareggiate, i lamenti delle navi, i temporali che squarciavano l'aria.
      Tutto questo a volte mi manca.

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