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16 ottobre 2015

Limiti barbari



Si ottundono tremanti i limiti di tutte le reti
in  oceanico sgomento

Appiccicati a fumosi traini
Sotto tacchi in miseria
Colpiscono le linee sgargianti dei polpacci

I traumatici pasti
Consumati all’ombra

Piaghe sentinella di ogni autentico dolore

Tutto si priva dei semi
Tutto si allontana dalla neve

Gli alberi gesticolano acerbi
Esangue e intessuto di ritmi disumani arretri osservandoci

Le onde dal centro raggiungono le navi in secca
Ciuffi di alghe depongono il sapore di sesso sui gamberi

Non prendiamo luce

Arrediamo i buchi neri con autentiche scialuppe d’epoca

25 settembre 2015

La scuola della carne - Yukio Mishima




E' inebriante trovarsi di fronte a qualcosa di nuovo in letteratura. E il nuovo non sempre lo è in senso strettamente cronologico. In questo caso La scuola della carne è un romanzo scritto nel 1963 da Yukio Mishima (Tokyo 1925-1970) - scrittore giapponese piuttosto controverso -, e mai pubblicato in Italia fino al 2013. Ogni dettaglio del romanzo comunque potrebbe essere senza alcuna forzatura un frammento del mondo di oggi. Niente di futuristico nell'ambientazione o di sperimentale da un punto di vista stilistico. Ciò che colpisce è piuttosto un'audacia poco comune, almeno per la letteratura occidentale, nell'avventurarsi su un terreno complesso e pieno di insidie. Mishima dimostra una sorprendente sensibilità nell'intuire le dinamiche psicologiche dell'animo femminile, che viene qui sezionato con la precisione di un bisturi. 


Il romanzo ha come protagonista Taeko, affascinante donna dell'alta società di Tokio. Taeko ha quarant'anni, un divorzio alle spalle e una vita che ricalca le gabbie dorate della nostra civiltà, fatte di giornate di lavoro ininterrotto fino a tarda sera, ricevimenti per stilisti di alta moda, ristoranti chic, appuntamenti fissi con le amiche e un'elegante e profonda solitudine. Non si tratta di una solitudine che scaturisce da scelte di vita, piuttosto di un elemento specifico dell’essere umani che persiste al di là delle diverse frequentazioni e della vita mondana, radicata al punto da gettare una luce indecifrabile sulla reale natura dei rapporti tra individui e soprattutto di una relazione di coppia.  Taeko ha o crede di avere certezze e punti di riferimento infallibili riguardo ai possibili risvolti delle sue scelte, e una piccola rete di relazioni superficiali da cui inspiegabilmente - nonostante una sottile insoddisfazione serpeggi costantemente in questi appuntamenti programmati "tra donne" - si sente sostenuta. Prende a frequentare un locale gay insieme alle sue amiche, e di lì a poco, attratta da un giovane e prestante barista del locale,  riesce ad ottenere un appuntamento con lui nonostante la quantomai dubbia reputazione del giovane, la differenza di età e di estrazione sociale e l'inequivocabile dato di fatto che li colloca in universi distanti tra loro anni luce. Fin dal principio Senkichi si trincera dietro una maschera di imperturbabile mistero, una cortina di non detto che alterna a pose dal candore infantile. Mishima traccia con maestria la rotta di Taeko attraverso un’altalena di fascinazione e paura nella spirale di una passione carnale che la getta nel caos, la spinge in un groviglio di decisioni sbagliate che prenderà una dopo l’altra nel tentativo di imbrigliare il controllo che Senkichi esercita su di lei grazie al potere che sa di incarnare in qualità di oggetto del desiderio. Desiderio e potere che egli sapientemente protegge e amplifica ricoprendo i suoi spostamenti e le sue frequentazioni di una coltre di segretezza, condizione che impone a Taeko al primo tentativo di lei di normalizzare la relazione

Interessante scoprire che uno dei nodi centrali del romanzo è l'idea che quanto più la vicenda è governata dalla carne tanto più si rivela come un'astrazione, un delirio proprio della mente. L'assenza di dettagli scabrosi o descrizioni di sesso esplicite fa emergere forse con maggiore forza questo concetto, che Mishima esprime attraverso le parole della stessa Taeko: 

"La nostra relazione, adesso, è terribilmente astratta".

Per inquadrare meglio i contenuti di questo romanzo e conoscere un pò anche l'autore, segnalo il saggio di Marguerite Yourcenar, Mishima o la visione del vuoto, che fornisce ulteriori spunti di riflessione illustrando le tematiche proprie di questo scrittore e le connessioni con la sua interessante biografia.

Segnalo infine la bella recensione de La scuola della carne su Strani giorni, ancora una volta fonte di ispirazione e grazie alla quale sono felicemente venuta a conoscenza di questo libro e del suo autore.



19 settembre 2015

Il nostro piccolo sole



“Il nostro piccolo sole” è il resoconto di un’esperienza reale. L’autrice ha messo nero su bianco la storia della nascita precoce di suo figlio Edoardo e di tutto ciò che ha significato per lei e per i suoi familiari.
Essendo a conoscenza delle vicende che hanno portato alla scrittura del libro e avendone se pur in minima parte condiviso le attese e le preoccupazioni, ho affrontato la lettura di questo libro in una disposizione di spirito molto diversa dal solito. Trovandomi in un certo senso su un terreno completamente nuovo avrei dovuto fare a meno dei consueti riferimenti nell'interpretazione di questo testo. Pensavo soprattutto a come avrei dovuto pormi di fronte alla testimonianza di fatti e situazioni di natura tanto intima, pur essendo anche la storia di tante altre persone che possono aver vissuto esperienze simili. Pensavo a come sarebbe stato differente rispetto alla lettura di un’opera letteraria di finzione.  Il racconto, il romanzo – in cui ogni dettaglio per quanto inventato è il più cocciutamente autobiografico  – plasma però l’autobiografia, trasfigura memorie ed esperienze che hanno dato origine all'opera letteraria, sublima traumi e passioni finché tutto,  persino quando volutamente eccessivo,  risulta accettabile e iconico, fosse anche la più profonda disperazione o il terrore.  
Questo però – ne ero ben consapevole -  sarebbe stato un viaggio del tutto diverso.
Il titolo non deve trarre in inganno. E’ chiaro fin dalle prime pagine che non ci sarà consolazione o sollievo per chi ne cercasse, o altro che potrebbe far pensare all'idealizzazione di un’esperienza: né le aspettative e le sensazioni legate al concetto di “maternità” nel senso più ingombrante del termine, né la scelta dei pochi essenziali dettagli da inserire nella storia, né il modo di raccontarli, un modo che si potrebbe definire minimalista anche se è evidente che si tratta di un flusso che scorre spontaneo  e senza sforzo, e che l’autrice non intende scimmiottare stili o sottostare ad alcun dettame modaiolo. Si tratta dunque di una cronaca lucidissima, ed è bella perché senza ombre, anche nel resoconto spietato delle proprie asprezze ed egoismi, di persona che procedendo come un navigante disperso in una fitta nebbia, senza alcun punto di riferimento, smarrita e sfinita ma sorretta da una forza misteriosa che la guida ora dopo ora nel superare i giorni e le attese, è ben consapevole di essere una controfigura di sé, un alter ego più freddo e meccanico, che osserva come in un lontano ricordo la sua versione più serenamente umana ma più indifesa; una sé stessa che in nessun modo sarebbe in grado di affrontare tante impensabili prove.
C’è un lavoro profondo nel tratteggiare la psicologia degli attori di questa vicenda, un lavoro tagliente e preciso che l’autrice svolge meticolosamente su sé stessa , senza mai isolarsi veramente dal mondo che la circonda, dalle persone e dai luoghi che registra e fotografa con chiarezza estrema anche nei momenti più difficili in cui sembra sentirsene lontanissima. E questo mondo infatti viene fuori, un universo che viaggia su un binario parallelo a quello della quotidiana normalità e che è tanto difficile condividere con chi questo universo non conosce; come spiegare, quali parole usare per descrivere la violenza di una guerra che scuote le fondamenta stesse dell’esistenza? Un universo  i cui protagonisti sono i piccoli appena nati e già in lotta per la loro vita, e poi “gli altri” genitori, i professori , il personale medico – figure che a volte sembrano rappresentare un possibile alleato altre volte uno specchio in cui non ci si vuole riconoscere, altre volte ancora una minaccia per il barlume di salute mentale che si vorrebbe poter preservare;  infine le macchine, che con i loro sibili, i ronzii e i tremendi allarmi  invadono le stanze della terapia intensiva e le menti di madri e padri, esseri che in quella strana penombra si aggirano in cerca di un sostegno per non crollare e che da esse dipendono per poter tornare a formulare l’idea stessa di futuro.  E’ proprio il concetto di tempo più di ogni altro ad essere travolto in queste pagine, il tempo che non passa, o che trascorre scandito da luci e suoni che seminano angoscia e terrore. La ferocia dell’incomunicabilità emerge in numerosi cupi passaggi, a cui fanno da contraltare piccoli gesti luminosi di silenziosa pacificante complicità.
Mi piace considerare questo libro non solo come la testimonianza della storia complicata di Edoardo raccontata da sua madre, o come esempio di un uso terapeutico della scrittura, ma come un vero e proprio testo letterario.

E’ accaduto che una donna, raccontando così bene una storia, la sua storia, si è rivelata scrittrice.

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17 settembre 2015

Fame

Vorrei poter capire in quale modo tutta questa spazzatura potrebbe mai liberarci. E perché mai ciò che si insegue è la bellezza ben sapendo che buona parte del suo potere abita nell’oscurità e in ciò che intorbidisce lo spirito. Cerchiamo una consolazione che ci affama.  E il rimedio da cui di volta in volta ci lasciamo illudere non potrà mai soddisfare un bisogno che esige ben altro che una pallida facciata. 

05 agosto 2015

Stig Dagerman



"Dal momento che mi trovo sulla riva del mare, dal mare posso imparare. Nessuno ha il diritto di pretendere dal mare che sorregga tutte le imbarcazioni o di esigere dal vento che riempia costantemente tutte le vele. Così nessuno ha il diritto di pretendere da me che la mia vita divenga una prigionia al servizio di certe funzioni. Non il dovere prima di tutto, ma prima di tutto la vita! Come ogni essere umano, devo avere diritto a dei momenti in cui posso farmi da parte e sentire di non essere solo un elemento di una massa chiamata popolazione terrestre, ma di essere un’unità che agisce autonomamente."

(Stig Dagerman, Il nostro bisogno di consolazione)



Un libretto di poche, davvero pochissime pagine, leggero come il vuoto, gigantesco e lucente come anticipato in copertina dalla riproduzione di un particolare della stanza di Dylan Thomas.

Da tenere in tasca, e centellinare al pari di un liquore prezioso.


21 luglio 2015

Chissà cos'è



Di seguito troverete: tutto un sentito dire o letto in rete intorno a. Molto poco oltre una fugace prospettiva a volo d'uccello sugli scritti di Ligotti e su meno della metà degli episodi della serie tv True Detective.

Non so se tutto questo mi interessa davvero, forse lo scoprirò leggendo The Conspiracy e guardando i restanti episodi di TD, sempre che non mi annoi prima di arrivare alla fine. La delusione e l'irritazione possono risultare sopportabili e perfino stimolanti, la noia no.

Nic Pizzolatto, scrittore della sceneggiatura, era partito con l'idea di scrivere un romanzo che poi non è riuscito a pubblicare.
Si è ispirato - molto - fino a guadagnarsi un'accusa di plagio -  al testo di Thomas Ligotti The Conspiracy Against The Human Race, non pubblicato in Italia, reperibile in Inglese (2011, Hippocampus Press).

Si dice che Ligotti, uno scrittore di culto statunitense horror-esistenzialista per un manipolo di seguaci, venga paragonato a Lovecraft, forse per l'atmosfera dei suoi racconti, o forse per una sorta di pessimismo radicale che però potrebbe essere poco più di una specie di fico atteggiamento, perché qualcuno parla di virate improvvise che sconfessano tutto il percorso precedente sia in alcuni scritti (L'attrazione), sia nel finale della serie tv.

Non avendo nemmeno mai letto Lovecraft, è evidente che questo post non avrebbe mai dovuto essere pubblicato.

Non c'è niente di vero in ciò che si scrive.

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Rust – Io mi considero una persona realista. Ma in termini filosofici sono quello che considereresti un pessimista.

M. - Ok. Che cosa significa?

R. – Che non sono uno spasso alle feste

M. – Lascia che te lo dica: non lo sei neanche in altre situazioni.

R. – Credo che la coscienza umana sia un tragico passo falso dell’evoluzione. Siamo troppo consapevoli di noi stessi. La natura ha creato un aspetto della natura separato da sé stessa. Siamo creature che non dovrebbero esistere, per le leggi della natura.

M. – Mmmmh! Mi sembra una gran bella stronzata!

R.- Siamo delle cose che si affannano nell’illusione di avere una coscienza. Questo incremento della reattività, e delle esperienze sensoriali, è programmato per darci l’assicurazione che ognuno di noi è importante. Quando invece, siamo tutti insignificanti.

M. – Io non andrei in giro a sparare queste stronzate. La gente da queste parti, non la pensa così. Io, non la penso così.

R. – E io credo che la cosa più onorevole per la nostra specie sia rifiutare la programmazione. Smetterla di riprodurci. Procedere mano nella mano verso l’estinzione. Un’ultima mezzanotte, in cui fratelli e sorelle rinunciano ad un trattamento iniquo.

M. – Allora, che senso ha alzarsi dal letto la mattina?

R. – Io dico a me stesso che sono un testimone. Ma la risposta giusta è che sono stato programmato così. E mi manca la disposizione al suicidio.

(...)


(True Detective, Prima serie, Ep.1, scena della macchina)



14 aprile 2015

Risposte a domande mai fatte

Lo sai ti verrà la tentazione di rinunciare. Ti diranno: la poesia è sempre triste.
E tu sentirai salire in te un imbarazzo perché riconoscerai che è vero.
Per difenderti ti verrà voglia di contraddirti. E perché poi la poesia non potrebbe essere felice?
Ecco ora io ti chiedo: sei felice? Ed è certo che a te come a chiunque altro la domanda sembrerà strana, inopportuna, persino irritante. Che domanda è? Mi stai chiedendo se sono felice in questo momento o in assoluto? E felice come? Ma tutti questi tentativi di scomporre il problema non ti aiuteranno a trovare una risposta.
Non è niente, non devi preoccuparti. La domanda è lecita come lo è il tuo imbarazzo. Dentro di te, fin da molto molto piccola, lo hai sempre saputo. Si tratta proprio di questo. La poesia è la scelta di non rinunciare a niente di quello che ci succede, di non nasconderlo, di andare a raccontarlo al mondo senza omettere il dolore. E' la volontà di non sotterrare il nòcciolo di tristezza che sta proprio nel centro di tutte le felicità e che rende tanto difficile riconoscerle mentre si vivono. Io, si, sono felice. Mi alzo, mangio, lavoro, sposto oggetti, leggo, parlo, agisco, ascolto, sorrido. Me ne vado in giro nella mia felicità portandomi dietro questa piccola sacca di disperata malinconia e di solitudine. Può essere una cosa da nulla, l'aria non abbastanza tersa, la prospettiva di una giornata liscia e senza attese, una musica inadatta, oppure troppo esatta. O una cosa grande come un'assenza, il senso del tempo, o una stanchezza. Un'irragionevole ovvia disperazione.
Andarsene in giro così.
Ecco cos'è, la poesia.

07 aprile 2015

Scheda N.3 - Il viaggio

Viaggio.
Parabola del viaggio come recupero/meditazione/studio delle proprie percezioni
Viaggio come astrazione simile all'arte
Camminare nel mondo guardandosi da un'altezza crescente e decidere così meglio il proprio percorso
guardare il mondo conosciuto con gli occhi del viaggiatore
alzare lo sguardo verso il cielo e i cornicioni equivale a porsi ad un punto di osservazione elevato
Fenomenizzare il viaggio
Opportunità di incontri dall'interno di una solitudine invasa dalla luce sfavillante dell'estraneità
Portare a passeggio la propria fortezza
Esporsi in primo luogo a odori sconosciuti, diverse rifrazioni della luce dovute ai materiali e a un diverso modo di impiegarli
Il suono si propaga per mezzo di nuove metodologie di approccio interpersonale
Ogni dialogo/incontro si prospetta come un'esperienza di rinascita e di una nuova visione di sè stessi
Il ritorno è anch'esso viaggio e ribalta la curvatura della propria proiezione nel mondo
Il viaggio solo sognato attraversa confini ancora più impazienti
Il viaggio in corso ci scolla da una fissità e dilata l'orizzonte del possibile
ma separa anche dalle specificità che ci appartengono e che per tutta la durata del viaggio non riescono più a farci ombra
Il viaggio compiuto si installa come una cimice sotto la pelle del polso e si fonde con i tessuti
l'Eterno Ritorno è anch'esso un viaggio
Non bisogna pensare che l'Eterno Ritorno sia una banalità.

02 aprile 2015

Il tempio di lettere

Che talento ho per la lettura! Lo so, perché dopo qualche tempo non conservo quasi nulla se non un’impressione, un colore, una convinzione di ciò che ho letto, senza poter essere in grado di riportare una frase o riassumere un capitolo. Se rileggo un libro che so avermi impressionato, le frasi che avevo sottolineate non mi sembrano più così importanti, mentre oggi ne segnerei di nuove tra quelle che forse avevo del tutto ignorato, e che ora non so più di aver letto.

Estasi e materia è un libro che in cinque anni non ho finito di rileggere. Qualcuno che non mi conosceva me lo suggerì, indovinando un possibile ceppo comune dai miei poveri scritti. Da allora non dimentico questo libro, ma dimentico cosa voglio che contenga. E così porto avanti i lavori del mio tempio infinito.

Trovo tutto questo magnifico e tragico.

Non essere tragici, non essere demoliti costantemente da sé stessi, sarebbe uno spreco di tempo, un’occasione mancata.

02 febbraio 2015

E' festa

Stai lì su una sedia, niente ti tocca, senti
l'antico sé farsi un sé più antico, immagini
solo la pazienza dell'acqua, la noia della pietra,
Pensi che il silenzio sia la pagina in più,
pensi che niente sia buono o  cattivo, nemmeno
il buio che inonda la casa mentre te ne stai seduto a guardarlo
arrivare. L'hai già visto altre volte. I tuoi amici
si muovono al di là della finestra, i volti sudici di rimpianto.
Vorresti salutarli ma non riesci a sollevare la mano.
Sei su una sedia. Ti volti verso la belladonna che distende
una rete velenosa intorno alla casa. Assapori
il miele dell'assenza. E' lo stesso ovunque
tu sia, lo stesso, che sia la voce a marcire prima
del corpo, o il corpo prima della voce.
Sai che il desiderio porta solo sofferenza, che la sofferenza
porta al compimento che porta al vuoto.
Sai che che adesso è diverso, che oggi è
festa, l'unica festa,
che arrendendoti al nulla
guarirai. Sai che è una gioia sentire
i tuoi polmoni prepararsi a un futuro di cenere,
così aspetti, lo sguardo immobile aspetti, e la polvere si posa
e le ore miracolose dell'infanzia brancolano nel buio.

(Mark Strand, da The Story of Our Lives, 1973 - La traduzione è mia)

13 gennaio 2015

Spaesamento


"La “vista voluta” dell’uomo che disegna richiede “una volontà che duri”: dunque il contrario della vaga e discontinua attenzione della vita di sempre: quella ci fa correre senza pace, per lo più nella contemporanea obbedienza a più compiti nello stesso tempo. Le sue sono dunque le leggi che rendono possibile la fretta: essenzialità, chiarezza dei segni, automatismi... Per orientarsi, dunque, basta una segnaletica, e figure lette come abbozzi standard.– Col disegno si entra in un altro mondo, già solo se si cerca semplicemente di copiare qualcosa. 



All’inizio, il miracolo dell’attenzione (Simone Weil!) precipita nello spaesamento, perché si scopre quanto cieca sia una lettura delle cose che le riduca al loro semplice riconoscimento. -Proust, a un certo punto racconta un momento in cui il narratore guarda la nonna, e vede finalmente che è vecchia, e che morirà. La visione costante ed economica della persona cara, cancellava invece, su quel volto e su quel corpo, il tempo - che sul corpo di un vecchio è l'essenziale.

Quello sguardo - in quante storie, religioni, miti? -, tra meraviglia e dolore, è un risveglio.
Il disegno coltiva - costanza e volontà - questa pratica, e “la festa dell’occhio è anche una battaglia”(Ib.). - Il primo gesto sarà allora la cancellazione della figura economica e convenzionale della cosa perché la cosa stessa emerga, astratta e complessa:  “mi accorgo che non conoscevo affatto quello che conoscevo: il naso della mia migliore amica...” (Ib.).

Così, sotto l’occhio di chi disegna le cose tornano intere, quindi misteriose. - Ma, se un uomo che disegna con una matita si costringe a una precisione di sguardo incomparabilmente maggiore, di quella che ci basta di solito,  va bene pensare come Valéry che non esiste arte che possa impegnare più intelligenza del disegno” (Ib.). "